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Taiwan ha invaso Milano (visto che non è a Expo)

Fuori dalla Fiera per il veto cinese, l’isola di Formosa si è presa il centro di Milano. Con un padiglione in piazza Santo Stefano e un ristorante in corso Venezia

 

Gabriele Lippi
Pubblicato ottobre 12, 2015

Si chiude una porta e si apre un portone. Quando i cancelli di Expo 2015 si sono serrati davanti alle loro facce, i taiwanesi non si sono dati per vinti. Non potevano portare il loro padiglione a Rho in quanto ospiti sgraditi alla Cina? Pazienza, l’avrebbero installato nel centro di Milano.

Dal 20 settembre, in mezzo a piazza Santo Stefano, a 200 metri dal Duomo, campeggia una costruzione di legno e vetro. Richiama uno di quegli alberi che, sulla strada tra un villaggio e l’altro, offrono ristoro ai viaggiatori dell’isola che un tempo fu Formosa. Forse non lo sanno gli studenti dell’università che all’ora di pranzo si siedono sui gradini per mangiare un panino, ma quello che stanno facendo è perfettamente in sintonia con il concept del luogo in cui si trovano.

Il Taiwan Food Culture Pavillon è nato quasi come una scommessa, ed è diventato una realtà perfettamente integrata con la città che lo ospita, accompagnato da Casa Taiwan, un ristorante che ogni venerdì, sabato e domenica, dal 5 settembre al 25 ottobre, offre le specialità della cucina locale preparate dai migliori chef taiwanesi nella cornice di Palazzo Bovara, in corso Venezia.

A promuovere il progetto è stato il Chinese Institute of Urban Design di Taipei, ma per realizzarlo sono serviti la passione e l’orgoglio del popolo taiwanese. Oltre 400mila euro raccolti col crowdfunding, donazioni di cittadini, rappresentanti di enti locali (tutti a titolo personale) e aziende che pur di apparire il meno possibile hanno chiesto che i loro nomi fossero scritti, su una delle vetrate, in mandarino e senza logo. Nemmeno un centesimo di finanziamento pubblico (nonostante i fondi fossero stati offerti), tutti i costi dovevano essere sostenuti con le risorse raccolte indipendentemente e la vendita del padiglione a una start up italiana a manifestazione conclusa.

Perché la presenza a Milano non poteva essere come quella di Shanghai 2010, tra i padiglioni delle regioni cinesi, macchiata da giri d’affari poco limpidi e totalmente estranea alla società civile.
Persino il sindaco di Taipei, Ko Wen-je, che sulla critica della partecipazione a Expo Shanghai aveva basato una campagna elettorale vincente, ha dato il suo sostegno economico e politico appena ha saputo dell’iniziativa. L’idea di un progetto completamente trasparente, sostenibile, auto-finanziato, era così affascinante che agli organizzatori è stato fornita anche una sede in centro a Taipei, per riproporsi allo stesso modo per Astana 2017 e Dubai 2020. “Volevamo che il messaggio non si perdesse dentro Expo”, spiega a Wired Andrea Vercellotti, architetto del Politecnico di Milano, che con il collega Hsieh Tsung-Yen della Tunghai University di Taipei ha coordinato il progetto.

Tsung-Yen e Vercellotti hanno quattro anni di differenza e si sono conosciuti alla Domus Accademy. Hsieh era uno studente di Andrea, e sono diventati amici. Nel 2013 entrambi sono stati invitati alla Biennale di Venezia, ospiti del padiglione svizzero, e a margine di quell’appuntamento è nata l’idea. “Ho guardato Hsieh e gli ho chiesto cosa avrebbe fatto il suo Paese per Expo 2015. Tutto è partito da lì”.

Fino al 10 ottobre, giorno della festa nazionale di Taiwan, il ristorante ha sempre registrato il tutto esaurito, con 35 coperti a sera, mentre il padiglione di piazza Santo Stefano ha ricevuto quasi 20mila visitatori. Ad accoglierli, i circa 200 volontari che si sono dati il cambio in quei giorni, molti di loro studenti nelle capitali europee, altri arrivati direttamente da Taipei come Albee, poco più di 20 anni, che ha viaggiato fino a Milano spinta da “una motivazione comune a tutta la cittadinanza”. Mara, invece, a Milano ci lavora da 13 anni, nel settore della moda, e quando è venuta a conoscenza dell’iniziativa non ha avuto dubbi: “Per noi emigrati che viviamo in Italia, vedere il nostro Paese rappresentato in questo modo è una grandissima gioia”.

Mara, Albee e gli altri volontari portano i costumi tipici delle campagne di Taiwan, rivisitati dallo stilista Cheng-Hui Chang, che ha scelto di omaggiare l’Italia con i colori della sua bandiera: il verde, il bianco e il rosso. Dentro al padiglione si possono ammirare le fotografie di Shen Chao-Liang, che tra il 2005 e il 2014 ha girato il Paese per fotografare gli stage truck (camion che in pochi minuti sono in grado di trasformarsi in coloratissimi palchi per le feste e i matrimoni) e la vita che si muove intorno a loro. Tra le biciclette caratteristiche utilizzate per vendere il tè in strada, spicca un grosso bando, il tavolo tondo tipico di Taiwan, sopra il quale passano le immagini dei cibi e delle tradizioni locali. “Volevamo portare fisicamente un po’ d’Asia a Milano”, raccontano Tsung-Yen e Vercellotti. E sembra proprio ci siano riusciti.

 

Link, http://www.wired.it/lifestyle/food/2015/10/12/expo-taiwan-milano/ 

 

 



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