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Conti solidi e dividendi assicurati Taiwan e Corea, brilla il tech asiatico
26 Marzo 2018
In un settore come quello della tecnologia dove spesso le società danno priorità
agli investimenti per aumentare le proprie quote di mercato più che a
ricompensare gli azionisti, le aziende tech asiatiche sono andate
controcorrente, guadagnandosi nel tempo una meritata reputazione di affidabili
distributrici di dividendi. Nel 1993, quando ho iniziato ad investire per la
prima volta in titoli azionari ad alto rendimento in Asia, non c’erano tante
società tech che distribuivano dividendi su cui si poteva investire. Oggi,
invece, ce ne sono moltissime. Nel mezzo, si sono susseguiti una crisi
finanziaria, un miglioramento dei bilanci e una maggiore comprensione
dell’importanza di ricompensare gli azionisti, fattori che hanno contribuito a
plasmare anche nella regione asiatica una “cultura dei dividendi”.
La Tsmc di Taiwan
Alcuni Paesi sono partiti prima degli altri. A Taiwan, tra la metà degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, le aziende tech hanno aumentato i loro dividendi a un ritmo notevole; TSMC, il gigante tech produttore di chip, ha aperto la strada. Molte di queste società avevano in comune posizioni finanziarie nette molto positive e modelli di business che potevano resistere agli alti e bassi dei cicli economici. Molte, poi, erano abbastanza “liquide”, nel senso che era facile acquistare e vendere le loro azioni. Nel caso di Tsmc, anche dopo una diminuzione degli utili nel 2009, la società è stata in grado di mantenere stabile il suo dividendo, in parte grazie alla solidità del suo bilancio, ma anche per la posizione dominante sul mercato dei semiconduttori. Un chiaro messaggio: anche gli azionisti devono essere ricompensati per il loro investimento. Anche Hon Hai, Mediatek e Delta Electronics hanno implementato o migliorato le loro politiche di distribuzione dei profitti. Fino a poco tempo fa, le imprese asiatiche hanno accolto troppo spesso con favore l’investimento di capitale da parte di azionisti di minoranza, senza comprendere appieno che questi investitori si aspettano una fetta di utili futuri attraverso i dividendi. Se consideriamo la Corea del Sud, ad esempio, solo quattro anni fa sarebbe stato molto difficile trovare un’azienda che distribuisse utili dignitosi. Il fattore di cambiamento è stato una decisione di Samsung Electronics di adottare una politica più generosa in materia di distribuzione dei dividendi. Da allora, l’azienda ha aumentato i suoi profitti piuttosto rapidamente.
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Laddove non vi sia alcuna società che possa fare da modello, i tassi di distribuzione dei dividendi possono rimanere bassi. Ne è un esempio l’India dove sono poche le grandi aziende quotate in Borsa che hanno un alto tasso di payout. Quando finalmente un’azienda indiana rappresentativa si ergerà ad esempio, i payout ratio potranno aumentare in maniera più sostanziosa, come abbiamo visto accadere in altri Paesi. Il trend è di solito lo stesso: il payout ratio aumenta, raggiunge un livello massimo, ma raramente scende tornando ai livelli precedenti. Attualmente, le società della zona dell’Asia del Pacifico, escluse quelle giapponesi, versano in media circa il 40% dei loro utili netti come dividendi. Il regime fiscale Il regime fiscale sui dividendi può essere un’altra motivazione dietro la scelta di pagare dividendi più alti, proprio come avviene in alcuni Paesi asiatici. Molte aziende in Asia sono ancora di proprietà delle famiglie che le hanno fondate. Quando i membri di una famiglia sono coinvolti nella gestione della società, spesso sono più che felici di percepire un flusso di reddito tramite i dividendi, questo avviene soprattutto nei Paesi in cui la ritenuta fiscale sui dividendi è bassa. A Hong Kong, ad esempio, non esiste alcuna ritenuta fiscale sui dividendi, mentre in altri mercati può essere più efficiente dal punto di vista fiscale effettuare operazioni di riacquisto di azioni. Non è così in Asia, dove il riacquisto di azioni è molto meno frequente che, per esempio, nel Regno Unito o negli Usa.
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