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Viaggio a Taiwan tra le mille luci di Taipei.
Viaggio notturno nella capitale di Taiwan, l'isola dove nel 1949 trovò rifugio il governo nazionalista di Chiang Kai-shek. Per i cinesi è una provincia ribelle e per gli occidentali rappresenta un modello di democrazia vivace
DI MARCO DEL CORONA
26 dicembre 2019
CHIEDI ALLA NOTTE
Chiedi alla notte che città è Taipei, che Paese è. Lampade ad acetilene, neon e
led. Che vuol dire: lampade un po’ contadine ma anche luci forgiate dalla
tecnologia che qui, su quest’isola, Taiwan, e in questa città, Taipei, ha messo
piede prima che altrove in Asia. La notte di Taipei ha le sue nervature di luce
e di vita. I mercati che si svegliano dopo il tramonto lasciano affiorare
un’anima popolana che la capitale di Taiwan – l’isola che i portoghesi a caccia
di spezie avevano battezzato Formosa – non ha mai rinnegato. Avrà pure i suoi
grattacieli, come il protervo Taipei 101 che fra il 2004 e il 2010, con 509,2
metri, è stato il più alto del mondo, ma è come se negli interstizi tra una
torre di vetro e l’altra resistesse una vita a un passo più lento. Scorre in una
di queste pieghe di Taipei il suo più antico mercato notturno, quello di Shilin,
120 anni tondi che pulsano negli aromi delle spezie, nell’afrore goloso del
tofu, nello sfrigolare dei fritti.
UNA TENACE VITALITÀ
che sa profondamente di Cina, non meno della lingua e degli ideogrammi
tradizionali che popolano insegne e cartelli. Il grande paradosso di Taipei e di
Taiwan appare al suo meglio tra le bancarelle di Shilin. È Cina quella che così
tanto sembra Cina? O non è già, irreversibilmente, qualcos’altro, al di là delle
formule rituali spese sia da Taipei sia da Pechino? Occorre risalire lungo la
china della storia: nel 1949 sull’isola di Taiwan trovò rifugio il governo
nazionalista di Chiang Kai-shek, avversario, poi alleato contro i giapponesi,
poi di nuovo nemico dei comunisti che, guidati da Mao Zedong, avevano vinto la
guerra civile fondando la Repubblica Popolare. Chiang si era portato con sé le
riserve auree, i tesori artistici della Città Proibita, persino i migliori
cuochi. Da allora alla morte di Chiang (1975), e poi fino alla metà degli anni
Ottanta, l’isola ha vissuto sprofondata in una feroce dittatura di destra, utile
agli Stati Uniti e all’Occidente a vigilare sulla Cina continentale rossa e
gigantesca. Un baluardo da Guerra fredda.
I mercati notturni sono un’attrazione di Taipei. Ci si vende di tutto, dal tofu a frutta e verdura.
ORA CHE TAIWAN
…è una democrazia vivace e si sceglie da sé il presidente con elezioni dirette
(prossimo appuntamento l’11 gennaio 2020), sia i manager asserragliati nei
grattacieli sia i venditori di Shilin sono i testimoni più o meno silenziosi di
una divaricazione. Per la Cina di Xi Jinping l’isola resta una provincia ribelle
sempre più isolata a livello internazionale, destinata a ricongiungersi alla
madrepatria presto o tardi, con le buone o con le cattive, perché «la Cina è
una»; per Taiwan, guidata dall’autonomista Tsai Ing-wen, la priorità è mantenere
la situazione così com’è, un’indipendenza di fatto che non può essere dichiarata
a voce alta. Il vorticoso progresso della Cina comunista e quello di Taiwan non
si assomigliano, dunque, tanto più che con il ricambio generazionale va sparendo
la nostalgia di una madrepatria dalla quale si è lontani (anche se
l’interscambio economico è importante e in Cina vive un milione di taiwanesi,
concentrati in particolare a Shanghai e dintorni).
HA PRESO CORPO
, in altre parole, un’identità taiwanese a sé. Con picchi di tradizionalismo,
come l’uso dei caratteri non semplificati, ma anche di spregiudicatezza, come il
via libera alle unioni omosessuali. La società detta i cambiamenti, non la
politica. «Il mondo occidentale ha una forte attrazione nei nostri confronti»
confida a Style il poeta Yang Mu, 79 anni, il più importante di Taiwan, capace
di amalgamare nei suoi versi Virgilio, Goethe, Eliot e lo spirito della grande
lirica cinese (le sue poesie sono uscite in Italia da Castelvecchi).
«L’interpretazione che della cultura tradizionale dà oggi la Cina mi risulta
sempre più incomprensibile» dice. Più spesso il tema dell’identità si pone in
termini radicali: la questione non è il rapporto con la Cina, ma che cosa sia
Taiwan in sé.
Il trasporto pubblico di Taipei è efficiente: con un’unica tessera si viaggia su bus, metro e treni.
CHI WEI-JAN, CLASSE
1954,
drammaturgo convertitosi al noir, considera Taiwan «non una cosa sola» ma una
«combinazione di molti fattori differenti». E aggiunge che è come se gli anni
della legge marziale, dal 1949 al 1987, avessero aguzzato l’ingegno creativo, in
seguito appannatosi con la conquista della libertà. «Tutto è cambiato quando
siamo diventati una società consumista, negli anni Novanta. Per dire: oggi un
sacco di scrittori o sono troppo distaccati dalle persone comuni, o troppo
preoccupati della politica. Poi ci sono quelli che inseguono il grande pubblico
e quelli la cui sensibilità è completamente sconnessa dal resto di Taiwan. La
cosa peggiore, però, è la tendenza a presentarsi come delle brave persone. Guai
quando gli autori cominciano a comportarsi come esponenti di una classe media
conservatrice e rispettabile. Il peggio del peggio» spiega Chi, pubblicato in
Italia da Marsilio.
Dai locali della Taiwan Foundation for Democracy, una ong che monitora i progressi dei diritti civili e offre sostegno a chi lo chiede nei Paesi limitrofi, la metamorfosi della società appare già compiuta. Questa – anche se neppure qui si può dire – non è più Cina. Sostiene Ketty W. Chen, la vicepresidente della fondazione, che «per i giovani, cioè le generazioni sotto i 39 anni, la democrazia è un fatto acquisito e costituisce parte dell’identità, perché non hanno avuto esperienza di altro. Poter criticare, ormai, fa parte della vita. Per tutti». Sembrano così un cortocircuito i manifesti elettorali in cinese che tappezzano i viali, con candidati nazionalisti e progressisti, verdi e di improbabili partitini, tutti affacciati sul traffico di Taipei.
Quella taiwanese è una comunità che, pur nelle sue contraddizioni, si è data regole alle quali non vuole rinunciare. Il pragmatismo dei commercianti di Shilin assomiglia a quello dei loro colleghi di Pechino, sì: è il contorno a essersi trasformato. E se la Cina, dall’altra parte dello Stretto di Taiwan, può esorcizzare le radici occidentali del marxismo sventolando il suo «socialismo con caratteristiche cinesi», a Taipei si potrebbe tranquillamente replicare che qui vige una «democrazia con caratteristiche cinesi». E non importa se le lampade ad acetilene, i neon e i led fanno la stessa luce. Qui come al di là del mare.
Link, https://style.corriere.it/lifestyle/viaggi/viaggio-taipei-taiwan-2019-2020/?refresh_ce-cp
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